BORGHERIA | Davoli
Davoli
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Il Borgo di Davoli – Articolo di Maria Luisa Iemmello

Il Borgo di Davoli – Articolo di Maria Luisa Iemmello

Il Borgo di Davoli, raccontato da Maria Luisa Iemmello della Community Calabria Storica e Archeologica

Maria Luisa Iemmello

Maria Luisa Iemmello

L’antico borgo di Davoli si nasconde dietro le colline dalle tinte indescrivibili, stagliate contro il cielo azzurro intenso, e che si affacciano sul brillante mar IONIO dalle sfumature del blu, azzurro, cobalto e viola, a pochi km a sud di Catanzaro.

I luoghi del suo territorio presentano tracce umane dalla più remota epoca preistorica.

Il suo nome, DAVOLI, riporta alle presenze greche sulla costa: secondo lo studioso prof. Saverio Carioti, il termine Daulis può essere riconducibile alla omonima città greca nella Focide, i cui abitanti, in cerca di nuovi territori fertili, si insediarono nei pressi della sponda sud dell’odierno fiume Ancinale.

Di diversa opinione, invece, è lo studioso tedesco Rudolf Rolfhs che sostiene che il nome derivi da DALIOS, ovvero fitti boschi, a testimoniare la folta vegetazione presente fin sulle rive del mare in questo lembo di terra.

I toponimi dei vari luoghi di questo paese sono testimonianza di presenze anche importanti sul suo territorio.

Mi accompagna alla scoperta di questo affascinante Borgo, Vittoria Monterosso, presidente della associazione culturale “ a ruga e Davoli

Ciò che affascina subito girando per i suoi vicoli, è la costante presenza di un passato ricco e importante, di gente dedita al lavoro di qualità e di grande operosità , come viene ancora oggi ricordata dai vicini paesi.

L’artigianato e le grandi qualità imprenditoriali dei Davolesi si possono ancora ammirare nei CATOI di vecchie case, dove artigiani di professione o semplici appassionati, ci raccontano di una vita dedita al lavoro manuale e alla preservazione della cultura degli avi.

Ecco che si incontra Mimmo Monterosso che ci spiega la sua tecnica per realizzare statue splendide in cartapesta, e la sua abnegazione ci racconta di una passione difficile a spegnersi.

 

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E ancora, è possibile trovare Benito Viscomi, giovane e abile agricoltore che sta riprendendo le coltivazioni antiche in chiave moderna, ma che conosce ogni cosa nuova e antica di Davoli e le piante della macchia mediterranea, utili alla creazione di oggetti e tessuti che venivano utilizzati fino a qualche decennio fa. La sua arte consiste nel cercare fibre naturali ( ginestra, salice spontaneo, oleastro, sughero, quercia, canne…) lungo i torrenti e fiumare della zona e realizzare cesti, contenitori vari e le TAFHARIE ( intrecciati di fibre naturali su cui si possono ancora posare pomodori, fichi e altro per essere essiccati al sole estivo) e tanti altri prodotti nuovi ed originali per forma, colore e dimensione, con una sapiente tecnica di lavorazione che si tramanda di padre in figlio da generazioni.

Telaio di Antonietta Viscomi

E poi incontriamo Antonietta Viscomi che ci mostra il telaio antico e rudimentale con il quale si diletta a creare tessuti. Perché tutte le famiglie davolesi avevano un telaio, tutte coltivavano, chi come attività principale, chi per uso familiare, il baco da seta. Sembra che le marine fossero interamente coltivate a baco da seta e le lavorazioni dei davolesi fossero di una tale finezza da arrivare presso la corte dei Borbone e di altre famiglie regnanti europee che ne apprezzavano i damaschi. Ogni famiglia aveva un telaio che veniva di solito utilizzato dalla prima figlia che aveva il compito di tessere per la famiglia per prima, e poi per vendere i tessuti . Per diverso tempo e fino agli anni 50 circa, l’esercito italiano ha mandato un suo emissario ogni anno a Davoli per procurare parte della seta che serviva per i paracaduti dell’esercito . E ancora, a Davoli si praticava l’estrazione del quarzo e caolino ( uno dei tre siti di Italia), materiali puri, venduti a famose marche di ceramiche, ma anche utilizzato ancora dall’esercito italiano per la realizzazione di strumenti di precisione. L’ estrazione spesso, purtroppo, portava la morte per silicosi, per cui le cave vennero chiuse definitivamente intorno agli anni 50.

Ma le lavorazioni artigianali di Davoli comprendevano anche calzolai, fabbri, falegnami, frantoi, mulini ( uno ancora perfettamente funzionante) e tante altre professionalità dedite alla lavorazione dei prodotti coltivati in loco.

Durante il periodo borbonico, Davoli era a capo del comprensorio ed era sede del Vicerè, motivo per cui i migliori prodotti di questo borgo partivano per la corte borbonica, che li apprezzava per la loro qualità. E, per lo stesso motivo, era sede di grandi famiglie nobili e borghesi che vivevano per tutto l’anno o gran parte di esso nei loro palazzi fatti costruire nel corso dei secoli nel Borgo, ma anche nella marina, per trascorrere le vacanze estive. I palazzi, molti dei quali ancora in ottimo stato di conservazione, presentano portali di grande maestria, opera degli scalpellini di Serra San Bruno. Alcuni sono rimasti integri dopo il terribile terremoto del 1783, altri furono ricostruiti dopo quella data. Oggi se ne contano 29.

Anche le chiese presentano opere di enorme valore, tre le più grandi e importanti:

 

La più antica è la Chiesa di Santa Caterina, costruita nel 1200 circa, attorno alla quale si è costituito il primo nucleo abitativo di Davoli, tra le sponde dei fiumi PEGADE e PERAMO, tutt’ora in perfetto stato di conservazione, in cui antichi manufatti vengono custoditi gelosamente. Attorno al 1400, venne costruita la Chiesa di Santa Barbara poco più sopra a quella già presente, maestosa con il suo soffitto a cassettoni e molte opere, compresa una statua in marmo che trasuda. E, infine, attorno al 1600 venne costruita la Chiesa di San Pietro, portando lo sviluppo del paese più in alto verso le splendide e rigogliose montagne. Anche qui sorsero varie attività commerciali e i nobili e i borghesi del tempo costruirono case e fabbricati di notevole fattura.

Una menzione a parte merita la Chiesa della Misericordia, una chiesetta molto antica, forse sorta intorno all’anno 1000, probabilmente su un eremo basiliano. Oggetto di un forte e sentito culto è la Statua della Madonna della Misericordia. In passato è stata luogo di diatriba con i vicini di San Sostene che ne hanno rivendicato il possesso e oggi ancora questa contesa viene ricordata nei racconti, spesso molto divertenti, dei più anziani.

Sicuramente, il viaggiatore che si trovasse a visitare Davoli Borgo, dovrebbe pensare di farlo durante la Pasqua per poter partecipare alla incredibile processione, probabilmente di origine medievale, della Naca: “quando si pronuncia la parola “Naca”, il pensiero corre subito alla spettacolare processione del Venerdì Santo con la Statua del Cristo morto deposto su una bara. Questo, infatti, è il significato che noi diamo alla parola “Naca”. Non tutti però ne conoscono l’origine che, come quasi tutto il lessico del dialetto davolese, è greca e va ricercata nel termine νάκη (nàche). Il significato originario è “vello”, per Rohlfs “pecora”. Per i Greci era il vello della pecora che, sistemato e appeso a mò di amaca, veniva utilizzato come culla appesa”, ci racconta il professore Saverio Carioti.

Questa processione viene accompagnata da decine di alberi di Abete addobbati con lampioni di carta con una candela all’interno. All’inizio del secolo scorso era illuminata da torce ricavate da una pianta ( tasso barbasso,) fasciato di stoffe intrise nell’olio. Si pensa che l’usanza di questo tipo di luminaria sia stata resa necessaria dal fatto che all’epoca le strade fossero buie.

Al viaggiatore entusiasta di conoscere questo Borgo, non resta che armarsi di gambe e visitarlo, fermandosi a chiacchierare con gli abitanti, sempre intenti nei loro lavori, ma felici di poter condividere la propria cultura con l’escursionista curioso. E chissà che non ci scappi un invito alla tavola, ricca di delizie uscite dalle mani delle incredibili massaie davolesi , un bel bicchiere di vino genuino e una sana compagnia , come si conviene a queste popolazioni riservate e laboriose, ma dal cuore enorme e limpido come le acque delle sue verdi e ricche montagne e del suo cangiante mare.

Si ringrazia per la collaborazione Vittoria e Mimmo Monterosso, prof Saverio Carioti e Benito Viscomi.

 

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